Pesci che ci riconoscono

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 18 maggio 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVE AGGIORNAMENTO]

 

Un importante progresso, che ha caratterizzato la conoscenza neuroscientifica degli anni recenti, è consistito nel comprendere che alcune facoltà psichiche e abilità cognitive, considerate in passato esclusive della nostra specie, sono possedute anche da altre specie animali. Spesso la soluzione neurobiologica al problema di adattamento, per dirla in termini evoluzionistici, riflette l’organizzazione più semplice e schematica di un sistema nervoso poco evoluto, ma in ogni caso dimostra l’esistenza di un’altra via, filogeneticamente più primitiva, per svolgere lo stesso compito. Non è dunque la facoltà, così come la concettualizza la nostra cultura, a definire la specificità umana, ma il modo in cui un compito attinente a quella abilità è affrontato dai sistemi neuronici cerebrali.

Un esempio particolarmente significativo al riguardo è costituito dalle abilità aritmetiche: si riteneva che gli animali non le possedessero perché le si concepiva solo secondo il modo umano di concettualizzazione astratta dei numeri, non considerando che operazioni simili potessero essere svolte mediante processi più elementari che stimano la numerosità in termini dimensionali, sfruttando la registrazione da parte di un “accumulatore centrale”, come fanno gli uccelli e i bambini in età prescolare. Certo, in quel modo le stime e i calcoli possono essere corretti solo per piccole numerosità, facilmente gestite dal riconoscimento visivo istantaneo, basato sull’evidenza percettiva. Per compiere i calcoli dei nostri compiti scolastici è invece necessaria l’elaborazione astratta di simboli, che richiede la mediazione dei circuiti della corteccia prefrontale e di altre aree neocorticali.

Allo stesso modo, la prosopognosia, ossia l’abilità di riconoscere i volti, è stata studiata in neuropsicologia prendendo le mosse da lesioni corticali che compromettono la funzione del giro fusiforme (area dei volti) e di altre aree corticali collegate, realizzando dei modelli funzionali, poi impiegati per lo studio nei primati non umani. Probabilmente questa metodologia di studio ha contribuito a creare la convinzione diffusa che il riconoscimento dei volti umani, e la connessa identificazione dall’aspetto, non sia possibile in animali filogeneticamente molto più primitivi dei mammiferi, quali pesci e rettili.

Cait Newport, zoologa dell’Università di Oxford, osservando il comportamento di un pesce arciere (Toxotes) durante i suoi spostamenti nel laboratorio dove era collocato l’acquario, tre anni fa si è convinta che la creaturina acquatica fosse in grado di riconoscerla. Le Toxotidae costituiscono una famiglia che comprende un solo genere e sette specie di pesci predatori, caratterizzati dalla capacità di emettere dalla bocca un violento getto d’acqua, che può giungere a un metro e mezzo di distanza e colpire, come la freccia di un arciere, insetti prossimi alla superficie dell’acqua.

Col suo gruppo di ricerca, la Newport ha realizzato uno studio che ha dimostrato la capacità di questa specie ittica di riconoscere sagome di volti umani (2016). In particolare, i ricercatori hanno addestrato gli arcieri marini a colpire col loro getto d’acqua uno schema standard di volto umano computerizzato, adoperato nella ricerca sulla percezione dei volti. Nelle prove sperimentali gli schemi di volto umano noti erano mescolati nella presentazione a sagome differenti; il riconoscimento da parte dei pesci era facile da verificare, perché questi sputavano in faccia solo al viso conosciuto. Le percentuali di getto a bersaglio comprese tra il 77 e l’89% hanno fugato ogni dubbio sulla capacità di riconoscere.

Questo studio dimostrava la capacità di riconoscere sagome piatte, ma due anni dopo si è andati oltre.  

In uno studio pubblicato lo scorso novembre 2018 su Animal Behaviour, i ricercatori hanno dimostrato che il pesce è in grado di riconoscere lo stesso volto ruotato verso il profilo di 30, 60 e 90 gradi. Gli esperimenti erano stati concepiti allo scopo di sottoporre a verifica l’ipotesi dell’abilità dei pesci di percepire oggetti tridimensionali, anche con una struttura irregolare e complessa, come quella di volti. La Newport ha commentato i risultati di questo studio sottolineando che elaborare la rotazione di facce, estraendo elementi diacritici necessari per continuare ad attribuire l’identità stabilita sulla memoria della visione di prospetto, è un compito arduo: “È complicato, è veramente difficile, anche per i computer e le persone – quando tu ruoti i visi, essi cambiano in un modo realmente interessante”[1].

Il riconoscimento dei volti da parte del nostro cervello si basa sull’elaborazione corticale di una quantità impressionante di dati morfologici, mediante processi simili a quelli che sono alla base dell’elaborazione cognitiva del grado più alto di complessità e astrazione. La prova che sia possibile ottenere una prestazione apparentemente accostabile a quella umana con un sistema nervoso centrale tanto semplice quanto quello dei pesci, evidenzia la possibilità di svolgere questo compito percettivo in un modo diverso ed estremamente più semplice. In altri termini, la comprensione dei criteri seguiti dal sistema nervoso delle piccole creature acquatiche può fornirci soluzioni ingegneristiche per realizzare una tecnologia di face-recognition di alto livello di efficienza, come si evince dalle stesse parole della Newport: “Se i pesci sono capaci di svolgere questi complicati compiti visivi con un cervello veramente piccolo, può darsi che noi verremo fuori con diverse soluzioni ingegneristiche”[2].

Vera Schluessel, zoologa dell’Università di Bonn e indipendente dai ricercatori che hanno condotto lo studio, ha una posizione estremistica al riguardo, sostenendo che l’abilità di riconoscimento dei pesci sia superiore a quella umana, nonostante sia l’espressione funzionale di un sistema nervoso filogeneticamente molto più primitivo. La Schluessel sostiene che, sebbene l’apparato nervoso del pesce arciere sia diverso da quello umano, potrebbe essere in grado di estrarre informazioni su come appare un’oggetto sotto differenti angolazioni con maggiore sensibilità ed efficienza rispetto al cervello umano. Questa abilità – osserva la ricercatrice tedesca – è una capacità cruciale per cacciare, navigare e bersagliare le prede.

Chi scrive, come molti ricercatori, suppone che l’abilità di riconoscimento dei pesci sia differente da quella umana e possa apparire superiore perché più efficiente in alcune condizioni schematiche di prove sperimentali, in quanto selettivamente specializzata nella rilevazione di particolari indici di rotazione. Per convincersene, basta consultare i repertori computerizzati dei ricercatori che raccolgono dati sulla capacità di volontari di riconoscere in una frazione di secondo migliaia di volti diversi, attribuendo loro correttamente lo stato emozionale espresso.

Ma ciò che più interessa del gruppo di ricerca della Schluessel è lo studio delle capacità percettivo-cognitive di altre specie ittiche. Lo squalo noto come grey bamboo shark (Chiloscyllium indicum o griseum) può riconoscere sagome con buona efficienza e memorizzare i percorsi utili per uscire da un labirinto subacqueo; una castagnola giallo-rosata del Pacifico occidentale nota come Ambon damselfish (Pomacentrus amboinensis) riconosce le teste di altri pesci con un’efficienza superiore a quella umana perché sfrutta la capacità dei suoi fotorecettori di percepire i toni nelle frequenze dell’ultravioletto, invisibili al nostro apparato oculare; infine, il pesce angelo o angelfish (Pterophyllum), specie di acqua dolce, è in grado di contare.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-18 maggio 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Cfr. Gannon M., Spitting Image. Scientific American 320 (2): 15, 2019 (TrdA).

 

[2] Cfr. Gannon M., Spitting Image. Scientific American 320 (2): 15, 2019 (TrdA).